Diritto internazionale dell'acqua

Di fatto il riconoscimento di un vero e proprio diritto all’acqua non si è ancora realizzato, sia nella sfera interna ai singoli paesi che nella dimensione internazionale. Di fatto, la definizione di un sistema globale di gestione e regolamentazione dell’acqua rappresenta tutt’ora una realtà intricata e di difficile realizzazione. Tale complessità è il risultato di una molteplicità di fattori che vanno dalla natura finita e relativamente scarsa della risorsa idrica, alla sua distribuzione ineguale, alla continua crescita della popolazione mondiale (triplicata nel corso dell’ultimo secolo) a cui corrisponde, inoltre, un incremento esponenziale della domanda di acqua (circa sei volte), al degradamento della qualità dell’acqua, sia per mancanza di diffusi sistemi di depurazione che per l’uso intensivo in agricoltura e industria che favorisce salinizzazione e inquinamento, e infine alla perdurante impossibilità per gran parte della popolazione mondiale di avere accesso a risorse idriche pure e potabili (11% ha accesso a acqua non potabile, mentre il 37% non beneficia di sistemi efficienti di depurazione). Di fronte a tutto ciò è evidente che la natura fortemente interconnessa delle nostre società rafforza la necessità di una regolazione multilaterale, poiché nessuno dei fattori enunciati in precedenza può essere veramente isolato.

È innanzitutto importante comprendere che non si è ancora affermata una normativa chiara e cogente che riconosca l’esistenza di un diritto all’acqua sia in qualità di diritto individuale, rivendicabile da ogni cittadino nei confronti delle proprie autorità, sia come diritto collettivo, invocabile nell’ambito della sfera internazionale dai soggetti giuridici legalmente rappresentanti di determinate comunità. Questa assenza appare una lacuna particolarmente grave nell’ambito internazionale, poiché amplifica differenze e disuguaglianze nella gestione di una risorsa che non è solamente necessaria alla vita umana, ma è anche strutturalmente globale e interconnessa e perciò richiederebbe un approccio integrato e uniforme. Inoltre il riconoscimento di un diritto all’acqua consentirebbe di sviluppare la tradizionale normativa in materia di accordi internazionali abbracciando gli aspetti socio-culturali, ambientali e umanitari, andando oltre alle sole questioni legate al diritto di navigazione e alla gestione dei bacini transfrontalieri.

Ciononostante alcuni giuristi tendono a sottolineare che esista già un riconoscimento di questo diritto in varie dichiarazioni e convenzioni internazionali. Partendo dalla “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948, l’enunciazione del diritto alla vita implicitamente conterrebbe anche la dimensione della accesso all’acqua dolce, in una quantità e qualità sufficiente alla vita individuale e di ogni comunità. Allo stesso modo gli articoli 22 e 25, riconoscendo il diritto alla sicurezza sociale e alla salute, si riferirebbero indubbiamente anche alla dimensione dell’acqua, una realtà determinante e necessaria nell’esercizio e nella tutela di questi diritti. Naturalmente, senza disconosce l’importanza storica e culturale di questa dichiarazione, l’assenza di valore imperativo e di strumenti effettivi per la tutela dei diritti enunciati ridimensiona significativamente la sua efficacia e reale impugnabilità. Di eguale importanza sono il “Patto sui diritti civili e politici” e il “Patto sui diritti economici, sociali e culturali”, del 1966, che hanno visto la firma di 130 stati. Pur avendo sviluppato ulteriormente la normativa sul diritto di ogni comunità a utilizzare le “proprie” risorse e ricchezze naturali, includendo implicitamente le risorse idriche, questi documenti non specificano che cosa si intenda con il riferimento “proprie” e quindi non fornirebbero una risposta chiara alla questione della gestione di risorse idriche transfrontaliere, siano esse fluviali, lacustri o freatiche. Chi in definitiva può rivendicare questo diritto di “proprietà” e in che misura? La domanda rimane aperta. Ciò evidenzia come in definitiva il diritto dell’acqua nella dimensione internazionale sia lasciato alla sfera delle consuetudini o alle relazioni diplomatiche tra paesi. Naturalmente il discorso sull’esistenza di un diritto all’acqua non si esaurisce qui.

Partendo da queste osservazioni è utile ora concentrarci su alcune delle iniziative che hanno affrontato direttamente la questione del diritto all’acqua, tematizzando e contribuendo a una sua definizione. Del 1977 è la prima dichiarazione ufficiale che enuncia il diritto “all’acqua potabile in quantità e qualità corrispondenti ai propri bisogni fondamentali”, come atto finale della prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua di Mar de la Plata, Argentina. Sempre nel contesto delle Nazioni Unite, nel 1990 a Nuova Delhi, si è tenuta la conferenza finale del “Decennio internazionale dell’acqua potabile”, a cui ha fatto seguito quella del 1992 di Dublino che ha portato all’adozione dell’omonima dichiarazione. Del medesimo anno è la conferenza di Rio de Janeiro che rappresenta ideale conclusione di questa lunga fase di analisi ed elaborazione del tema dell’acqua e dei problemi a essa connessi. Più recentemente possono essere ricordati il “Manifesto dell’acqua” (1998), i due Forum Mondiali per l’acqua di Marrakech (1997) e dell’Aja (2000). Del 1999 è invece il Protocollo sull’Acqua e la Salute che va a sviluppare la convenzione sulla Protezione e l’uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e i laghi internazionali (1992). In questo panorama, la Convenzione delle Nazioni Unite del 1997, in materia di corsi d’acqua transfrontalieri e loro utilizzo per fini differenti dalla semplice navigazione, rappresenta un testo importante. Frutto di un lungo processo durato circa 27 anni, questa convenzione riprende essenzialmente il principio dell’uso responsabile e appropriato delle risorse idriche al fine di prevenire incidenti e danni. Da qui segue il riconoscimento di un impegno alla cooperazione tra gli stati rivieraschi di un determinato corso fluviale, recependo il principio di “sovranità territoriale ridotta” che affianca al diritto di utilizzo delle proprie ricchezze e risorse, quello di responsabilità nei confronti degli altri strati che beneficiano o sfruttano la stessa fonte idrica. “Utilizzo equo e condivisione delle risorse” (art. 5), “obbligo di non causare danni significativi” (art. 7) e “obbligo alla cooperazione” (art. 8) sarebbero quindi i fari di questa convenzione, riprendendo e confermando la materia introdotta a Helsinki nel 1966. Non sfuggirà che l’introduzione del principio di “equità” e l’invito a fare “concessioni reciproche” non sono di per sé sufficienti a raggiungere gli obiettivi della convenzione e rimandano nuovamente alla singola interpretazione del significato di questi termini e concetti, oltre che lasciano ancora una volta agli stati il compito di renderli effettivi ed efficaci.

Parte integrante di questo discorso sono gli obietti fissati nel 2000 con la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, a cui ha fatto seguito la Dichiarazione di Johannesburg del 2002. Nel primo testo troviamo l’impegno degli stati membri a dimezzare la percentuale delle persone prive di accesso sostenibile ad acqua potabile e sicura entro il 2015. Nel secondo, invece, è contenuto l’impegno di dimezzare il numero di persone prive di accesso a sistemi igienico-sanitari di base.

Infine, in questa sommaria citazione di alcuni tra i principali documenti in materia di diritto all’acqua, è utile ricordare la risoluzione del Consiglio sui diritti dell’uomo delle Nazioni Unite in materia di diritti umani e sicurezza all'accesso di acqua potabile e in materia di servizi igienici (2010) e la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul diritto all’acqua e ai servizi igienici (2010). Le due risoluzioni affermano rispettivamente che il diritto all’acqua e ai servizi igienici sono parte del diritto internazionale esistente e quindi sono giuridicamente vincolanti (la prima), sottolineando che questi sono parte essenziale per la realizzazione e la piena espressione dei diritti dell’uomo. In tal senso gli stati che hanno firmato la Convenzione di Vienna del 1966 non potrebbero più negare di essere responsabili di fornire acqua qualitativamente sicura e servizi igienici sufficienti.

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Acque Transfrontaliere
La falda acquifera di Disi. Una risorsa con-divisa tra Giordania e Arabia Saudita
Il sistema transfrontaliero dell'Himalaya
Il Bacino del Danubio
Geopolitica dell'acqua
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Water Security
Virtual Water Trade
La lenta e difficile rinascita delle paludi mesopotamiche
Impronta idrica
Il regime giuridico del Mar Caspio
Acqua Virtuale
Il Nilo
Il bacino del Tigri-Eufrate
Costi/opportunità dell'acqua
La scarsità idrica
Cochabamba
Ridurre l'inquinamento da concimi: il caso dei nitrati nelle falde
Curare la acque inquinate con le piante
Qanat/Kariz
Come distribuire l'acqua in agricoltura
Drought stress: selezione di varietà tolleranti
Come risparmiare l'acqua: l'aridocoltura

Riassumere brevemente i molteplici riferimenti al diritto all’acqua e in genere alla materia giuridica che si riferisce all’accesso, gestione e utilizzo della risorsa idrica, sia in una prospettiva individuale sia in quella internazionale, non è semplice. Come visto dalla seconda metà del secolo scorso il grado di consapevolezza dell’importanza di definire sistemi di protezione e condivisione integrata delle acque è cresciuta e differenti convenzioni e dichiarazioni hanno posto al centro tali tematiche. Ciononostante rimane la propensione a percepire tale risorsa come strategica, un approccio che mina lo sviluppo di sistemi cooperativi e multilaterali. Al tempo stesso tale atteggiamento induce una scarsa trasparenza nella condivisione di dati e informazioni tra i vari paesi, in particolare per quanto riguarda le falde freatiche. Ciò ripropone il problema della sostenibilità e della preservazione della quantità e della qualità delle fonti idriche, rinnovabili e non, e il rischio che questioni di competizione politica ed economica vengano amplificate da problemi legati all’accaparramento di tali risorse, aprendo se non a vere proprie “guerre dell’acqua” a pericolose situazioni di concorrenza, aperta o tacita, e di conflitto intra ed extra-statuale.

 

 

Calzolaio V., L’acqua: diritto umano e bene comune, 2008

Cooperazione allo sviluppo, Italia 

Elisabetta Cagelosi, Il diritto umano dell'acqua, N. 32, giugno 2013  

Gioffredi G., Globalizzazione, nuove guerre e diritto internazionale, Tangram, Trento, 2012.

International Water Project 

Malagnino C.D., L’ambiente come sistema giuridico complesso, Cedam, 2007

Millennium Development Goals Report 2014 

Right to the water 

Timeline: The Rigth to the water and sanitation