Le dighe cinesi

Lo straordinario e costante sviluppo economico, industriale e urbano della Repubblica Popolare Cinese, comporta che le autorità di Pechino debbano confrontarsi con la necessità di reperire sempre nuove e maggiori fonti di approvvigionamento energetico. Il gigante asiatico continua a fare ampio ricorso alle fonti di origine fossile, in particolare il carbone, sia aumentando la produzione interna, che importando ingenti risorse di petrolio e gas dai paesi produttori (come quelli mediorientali o africani). Il largo utilizzo delle fonti fossili, soprattutto nel settore industriale e dei trasporti, ha fatto si che negli ultimi anni la Repubblica Popolare Cinese sia diventato il paese al mondo maggiormente responsabile dell’emissione di COe altre sostanze inquinanti. Per ovviare al crescente inquinamento atmosferico, urbano, idrico e del suolo, le autorità cinesi stanno puntando allo sviluppo delle fonti rinnovabili pulite, tra cui, in maniera significativa, l’energia idroelettrica. Da questo punto di vista sono stati intrapresi enormi progetti per la realizzazione di dighe e centrali idroelettriche in varie regioni cinesi ricche di fiumi e corsi d’acqua, con l’ambizione di puntare al raddoppio della capacità idroelettrica nei prossimi vent’anni. Tutto ciò, se da un lato sta producendo e prevedibilmente produrrà risultati positivi in termini di diminuzione delle emissioni inquinanti e di aumento della autosufficienza energetica, dall’altro lato comporta una serie di costi economici, sociali ed ambientali, la cui portata, benché difficile da calcolare, è verosimilmente significativa. Inoltre, proprio per il fatto che molti dei corsi d’acqua interessati dalle opere di intervento cinesi sono fiumi transfrontalieri, il rischio è che i paesi vicini, che sono tutti “a valle” rispetto alla Repubblica Popolare Cinese, si trovino a dover gestire gli impatti negativi di tali interventi, facendo emergere tensioni diplomatiche e potenziali conflitti.

Lo straordinario e prolungato periodo di crescita economica della Repubblica Popolare Cinese (RPC) ha portato questo paese a scalare le vette delle classifiche internazionali di consumo e produzione di energia, in tutti i settori, da quello delle fonti fossili a quello delle cosiddette fonti rinnovabili.

La RPC è il secondo paese al mondo per consumo di petrolio, dietro agli Stati Uniti e alcune stime indicano che nel 2014 potrebbe superare gli Stati Uniti stessi quale principale importatore di petrolio. Inoltre, dal 2010 la RPC è il principale consumatore di energia al mondo e già nel 2007 è diventato il principale produttore di energia, soprattutto di carbone.

Proprio dal carbone dipende larga parte del cosiddetto mix energetico nei consumi cinesi (circa il 68%): dai primi anni del Duemila la RPC ha quintuplicato i consumi di carbone. Altra fonte rilevante è il petrolio (circa il 17% dei consumi interni), il cui consumo è cresciuto anche esso negli ultimi anni. Il gas naturale costituisce circa il 5% dei consumi, mentre le altre fonti, nucleare compreso, costituiscono poco meno del 10% (per un approfondimento, si veda il profilo energetico della RPC).
Il largo utilizzo di carbone e idrocarburi ha portato la RPC a diventare il paese al mondo maggiormente responsabile dell’emissione di CO2 e di altre sostanze inquinanti. Secondo la Banca Mondiale, nel 2010 (ultimo anno di cui sono disponibili le statistiche), la RPC era responsabile del 24,65% del totale delle emissioni mondiali di CO2, seguita dagli USA con il 16,16% e dai Paesi dell’UE27 con l’11,04% (le stime attuali danno la Cina a quasi il 30% delle emissioni totali, avendo raddoppiato il proprio livello di emissioni rispetto a quello statunitense).
L’attuale presidente Xi Jinping e il primo ministro Li Keqiang stanno sviluppando un’ambiziosa politica di sviluppo energetico del paese: da un lato, hanno aperto il settore energetico nazionale agli investimenti stranieri, cercando di attrarre quante più risorse finanziarie possibili per sostenere i nuovi progetti in corso di definizione; dall’altro lato, hanno cercato di ridurre il crescente inquinamento atmosferico, urbano, idrico e del suolo, puntando allo sviluppo delle fonti rinnovabili pulite.

A tal fine, il governo di Pechino sta puntando a ricavare il 20% dell’energia consumata internamente da fonti rinnovabili, entro il 2030. La produzione di energia da fonte idroelettrica giocherà un ruolo importante in questa strategia, attraverso le realizzazione di grandi dighe e centrali idroelettriche in varie parti del paese.

Pur possedendo solo il 6% delle risorse idriche globali, la RPC è attualmente la principali produttrice di energia idroelettrica a livello mondiale, con oltre 900 TWh di energia elettrica prodotta annualmente, e un capacità installata di 260 GW, 3 volte di più del secondo paese al mondo per capacità installata, il Brasile. Le autorità cinesi puntano a raddoppiare tale capacità entro la fine del 2050, portandola a circa 500 GW.
Questo progetto comporta che nei prossimi decenni, oltre alle opere di ammodernamento e potenziamento degli impianti già esistenti, verranno realizzati nuovi impianti in varie parti del paese.
Negli ultimi 60 anni in RPC sono stati costruiti circa 86.000 tra dighe e sbarramenti, un quarto dei quali (22.000) sono dighe di grandi dimensioni. Alcune delle dighe più grandi e alte al mondo sono cinesi, come la diga ad arco di Xaowan, che è la terza diga più alta al mondo, e la diga di Ertan.

La diga che attualmente produce la maggior quantità di energia elettrica è la famosa “Diga delle Tre Gole”.

figura 1 - La Diga delle "Tre Gole"

Nel 2014, questa diga ha generato 98,8 miliardi di KWh (ne aveva generati 98,1 nel 2012 e 83,7 nel 2013), superando la diga brasiliana di Itaipu, che fino all’anno scorso deteneva questo particolare record. 
La “Diga delle Tre Gole” si trova nel distretto di Yiling, nella provincia di Hubei e regola il corso del Fiume Azzurro (in cinese Chang Jiang, letteralmente “Fiume lungo”, conosciuto anche come Yangtze Kiang), che con i suoi 6.418 kilometri di lunghezza è il più lungo fiume dell’Asia e il terzo al mondo, dopo il Nilo e il Rio delle Amazzoni. Il Fiume Azzurro nasce dai ghiacciai del Plateau tibetano, nella provincia centro-occidentale del Qinghai e scorre verso est interamente in territorio cinese (dividendolo in due parti), prima di sfociare nel Mar Cinese Orientale a Shanghai. 


Il Fiume azzurro raccoglie le acque di un quinto del territorio della RPC, e il suo bacino ospita circa un terzo della popolazione cinese, con una enorme rilevanza sia storica che economica.
La costruzione della “Diga delle Tre Gole” è iniziata nel 1994 e nel 1997 ha portato alla chiusura del corso del Fiume Azzurro. La funzionalità dell’intero impianto è iniziata nel 2003 e il progetto è stato interamente completato nel 2009.
La “Diga delle Tre Gole” ha una capacità installata di produzione di energia elettrica di 22,5 GW, poco meno di un decimo del totale della capacità dell’intera RPC.
Secondo le autorità cinesi e la società che gestisce gli impianti, la produzione di energia elettrica raggiunta della “Diga delle Tre Gole” permette ogni anno di risparmiare fino a 49 milioni di tonnellate di carbone e, di conseguenza, di ridurre di 100 milioni di tonnellate le emissioni di CO2.

Sempre sul corso del Fiume Azzurro, tra il 2013 e il 2014 è diventata operativa quella che, attualmente, è la seconda diga per produzione di energia in Cina e la terza al mondo: l’impianto di Xiluodu, con una capacità massima di 13,86 GW.

Nel 2015, dovrebbe essere completato anche l’impianto di Xiangjiaba, sul fiume Jinsha, un affluente del Fiume Azzurro nelle province di Yunnan e Sichuan: con un potenziale di 6,4 GW, dovrebbe diventare il terzo maggiore impianto idroelettrico cinese.

I costi economici, sociali e ambientali dei progetti idroelettrici cinesi

Nonostante l’enfasi posta dal governo cinese circa i risultati raggiunti e previsti dai progetti di realizzazione di nuove dighe ed impianti idroelettrici da qui ai prossimi decenni, sono in molti, nella RPC come all’estero, a considerare che tali progetti comportino anche elevati costi di natura economica, sociale e ambientale, tali da ridurre, anche sensibilmente, la coerenza e la sostenibilità degli stessi.

Dal punto di vista dei costi economici, una volta realizzate, le dighe cinesi arrivano a costare anche il 75% in più rispetto ai costi inizialmente messi a budget. Inoltre bisogna considerare i costi di trasmissione dell’energia ai poli di consumo finale. I due grandi progetti delle dighe di Xiangjiaba e di Xiluodu necessiteranno di un ulteriore aumento del 50% dei costi rispetto a quelli di realizzazione per l’allacciamento degli impianti idroelettrici alle griglie di trasmissione.

Uno dei fattori principali legato ai costi di realizzazione, riguarda anche gli aspetti umani e sociali: la realizzazione della “Diga delle Tre Gole” ha richiesto la spesa di circa 39 miliardi di dollari, dei quali, oltre la metà è stata utilizzata per spostare e riallocare i circa 1,2 milioni di abitanti che sono stati spostati per permettere la realizzazione degli impianti.

In totale si stima che dagli anni Cinquanta del secolo scorso, per realizzare oltre 80.000 dighe, siano state spostate circa 23 milioni di persone, un terzo delle quali vivrebbe attualmente in condizioni di povertà. Spesso tali spostamenti, soprattutto nelle regioni sud-occidentali, hanno riguardato minoranze etniche.

Se si valutano i costi-opportunità della realizzazione dei molti progetti cinesi volti a raggiungere il raddoppio della capacità installata di produzione idroelettrica entro i prossimi 35 anni, forti critiche si indirizzano sulla reale necessità di tali progetti. Le critiche considerano l'elevata rilevanza delle variazioni stagionali della portata dei corsi d’acqua, che secondo alcune stime sarebbero attorno al 30%, in particolar modo nella Cina sud-occidentale, dove si pensa che tali variazioni tenderanno ad aumentare nel prossimo futuro. Tali grandi disparità nella portata d’acqua incidono sull’effettiva capacità di generare energia elettrica, di fronte alla quale, le autorità cinesi devono ovviare facendo ricorso alle risorse disponibili, ossia a quelle di natura fossile, carbone in primis.

Un ultimo aspetto, infine, riguarda l’impatto ambientale di uuesti progetti. Diverse ricerche scientifiche, condotte in Cina e nei paesi limitrofi, hanno dimostrato che gli ecosistemi dei bacini idrologici di alcuni dei fiumi interessati dalla costruzione di dighe e centrali idroelettriche sono caratterizzati da situazioni di grande criticità. In particolare, dighe e sbarramenti costruiti lungo i corsi d’acqua avrebbero danneggiato l’equilibrio dei cicli di riproduzione di diverse specie ittiche. Nell’alto Fiume Azzurro, il numero di specie ittiche presenti sarebbe diminuito da oltre 140 a poco meno di 20.

Le problematiche con i paesi limitrofi

Uno dei maggiori progetti di intervento sui corsi d’acqua intrapresi dal governo cinese, allo scopo di aumentare l’irrigazione del proprio territorio e di produrre energia idroelettrica, è quello che riguarda la gestione delle acque del fiume Brahmaputra, che nel suo tratto cinese prende il nome di Tsangpo Yarlung. Si tratta del Grand Western Water Diversion Plan, che ha come obiettivo quello di deviare le acque a monte di sei fiumi che attraversano la Cina sudoccidentale, tra cui il fiume Brahmaputra. Il governo indiano si è fortemente opposto a tale progetto e attua una costante pressione sulle autorità cinesi per farle desistere o, almeno, per raggiungere un accordo che limiti le dimensioni dell’intervento sul corso del Brahmaputra/Tsangpo Yarlung. Da parte indiana, si ritiene infatti che essi possano incidere in maniera negativa sulla portata d’acqua del fiume in territorio indiano.
Da più parti si ritiene che tale questione possa portare, nel caso Pechino decida di realizzare il progetto, a un vero e proprio “conflitto per l’acqua” di difficile definizione e soluzione.

La realizzazione di dighe e impianti idroelettrici per l’approvvigionamento energetico cinese è fonte di dispute e di contrasti anche con altri paesi. Uno degli esempi più significativi è quello che riguarda il progetto di costruzione della diga Myitsone, parte del Confluence Region Hydropower Project (CRHP), che prevede la costruzione di sette grandi dighe con una capacità totale di 20mila MW.
Il progetto della diga Mytisone, alla confluenza dei fiumi Mali e N’mai in Myanmar, prevede la costruzione, entro il 2017, di un impianto di 6.000 MW, realizzato da una joint-venture cinese-birmana, con lo scopo principale di rifornire di energia elettrica la provincia cinese dello Yunnan.
Il progetto è fonte di preoccupazione da parte del governo di Naypyidaw e di forti proteste da parte della popolazione, sia a causa della sperequata distribuzione dell’energia prodotta, che verrebbe inviata in larga parte in territorio cinese, sia a causa del potenziale impatto negativo in termini ambientali ed ecologici per le regioni del Myanmar. Inoltre, l’area interessata dalla diga è ritenuta quella dove risalgono le origini della civiltà birmana, con evidenti implicazioni di natura politico-sociale.

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Livello 1 Livello 2 Livello 3 Livello 4
Produzione e risparmio di energia in agricoltura
Essiccazione lenta dei cereali
Logistica della biomassa
Biogas da matrici organiche
Ridurre le emissioni in agricoltura
Impatto dei sistemi agricoli: Life Cycle Assessment (LCA) e la Carbon footprint
Energia rinnovabile dalle foreste
Energia dal legame chimico
Il metabolismo negli organismi viventi: vie di sintesi e di idrolisi
La fotosintesi: piante C3 e C4
Le molecole di riserva come fonte di energia
Energia dall'acqua: dighe e sbarramenti
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La Diga delle "Tre Gole"

La Diga delle

AA.VV, Effects of the Three Gorges Dam on Yangtze River flow and river interaction with Poyang Lake, China: 2003–2008, “Journal of Hydrology”, Volumes 416–417, 2012, Pagg. 19–27

BP Statistical Review of World Energy June 2014

Il Fatto Quotidiano, "I costi insostenibili delle grandi dighe"

International Rivers

Profilo energetico della RPC, US Energy Information Agency

World Energy Outlook 2014

 

 

China Water Risk

FanY., Xia Y., Exploring energy consumption and demand in China, "Energy", Volume 40, Issue 1, April 2012, Pagg. 23–30

Energie rinnovabili