La lenta e difficile rinascita delle paludi mesopotamiche

Le paludi mesopotamiche costituiscono uno degli habitat più complessi e delicati dell’intero pianeta, oltre che uno dei luoghi che hanno segnato in maniera indelebile la storia dell’umanità. Tradizionalmente associate ai giardini dell’Eden, queste aree hanno visto sorgere attorno a esse civiltà che hanno contribuito in misura determinante alla storia dell’umanità, ma anche tragedie ambientali e umanitarie senza precedenti. 

Pur rappresentando tuttora l’ecosistema di zone umide più esteso dell’intera regione mediorientale, le paludi mesopotamiche sono un pallido riflesso di un ambiente paludoso che costituiva il terzo più ampio nel mondo. Un sistema tendenzialmente diviso in tre regioni distinte, eppure interconnesse, situate – rispettivamente – nella zona compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate (la vera e propria mesignificativarra tra i due fiumi), nei territori posti a est del fiume Tigri e nelle regioni del basso Eufrate. Queste aree, poste principalmente all’interno dei confini della repubblica dell’Iraq, sono da sempre l’epicentro della società Madan, che si è sviluppata e modellata attorno a bacini letteralmente incastonati all’interno di una regione caratterizzata da scarsità idrica e dalla presenza di enormi aree desertiche. Luoghi che funzionari, esploratori e scienziati non esitarono a definire incredibili per la loro bellezza e varietà.

Gli abitanti di queste regioni, noti anche col nome di “arabi delle paludi”, hanno mantenuto intatte tradizioni millenarie e denotano stili di vita che, seppur influenzati dalla modernità, presentano similitudini fortissime con quelli dei loro progenitori. Non è un caso, infatti, che le comunità locali continuino a dedicarsi principalmente alla coltivazione (in particolare di riso, grano, orzo e miglio perlato) e all’allevamento di ovini e bovini (particolarmente famosi erano e sono tuttora i bufali della regione), oltre che allo sfruttamento delle importanti risorse ittiche dell’area e alla raccolta dei datteri. Così come non è casuale la sopravvivenza del tradizionale dialetto arabo locale (significativamente differente rispetto a quello parlato nell’entroterra iracheno meridionale) e  la presenza di minoranze religiose (come quella dei mandei) e di pratiche islamiche caratterizzate da riti e credenze peculiari rispetto a quelle presenti sulla terraferma. Inoltre, ancora significativa è l’influenza dei sistemi clanico-tribali che ancora mantengono una forte presa sul tessuto sociale dei Madan. 

figura 1 - Palude mesopotamica

Altro aspetto caratteristico della regione è la conformazione dei villaggi che ne punteggiano le coste, costruiti attorno a un edificio di canne (denominato mudhif) che funge da punto di ritrovo per l’intera comunità. Questo è usato come luogo dove discutere di tematiche inerenti alla vita del villaggio, risolvere controversie e offrire riparo agli ospiti. I membri della comunità vivono solitamente in costruzioni più modeste realizzate sopra piccoli isolotti naturali o porzioni di terreno sottratti alle acque attraverso la sovrapposizione di strati di canne e fango. In un contesto così segnato dal dominio delle acque, i canali costituiscono le principali vie di comunicazione e non a caso il mezzo di trasporto più diffuso è un particolare tipo di canoa allungata. 

figura 2 - Villaggio di Saigal

Queste aree che per migliaia di anni hanno protetto un ecosistema unico nel suo genere hanno però registrato nel corso dei primi anni novanta una catastrofe senza precedenti. Le rivolte che seguirono la sconfitta delle forze di Saddam Hussein in quella che è passata alla storia come “prima” guerra del Golfo (1990-1991) aveva spinto parte della popolazione che risiedeva nella aree meridionali dell’Iraq a sollevarsi contro il regime dittatoriale del rais. Questi, sfruttando l’immobilismo della comunità internazionale, aveva risposto scatenando una rappresaglia massiccia sulle regioni dell’Iraq del sud. Molti di coloro che riuscirono a sfuggire ai massacri perpetrati dagli uomini di Saddam si recarono nella regione delle paludi, che – grazie ai terreni impervi e alla prossimità con l’Iran – aveva da sempre costituito un’area difficilmente controllabile dal regime.

Si trattava di una minaccia intollerabile per un leader che era rimasto alla guida del paese ma che aveva visto la propria posizione fortemente indebolita. Per rispondere a questa situazione Saddam varò un massiccio progetto di ingegneria idraulica che portò alla creazione di un sistema in grado di prosciugare la gran parte dei territori delle paludi. Nel giro di pochi mesi gli oltre 20.000 kilometri quadrati di aree paludose si ridussero di oltre il 90% con conseguenze terribili tanto per l’ecosistema locale, quanto per le popolazioni Madan. Delle oltre 400.000 persone che abitavano l’area nei primissimi anni ’90 del secolo scorso, all’inizio del nuovo millennio ne erano rimaste poco più di 40.000. Un fenomeno direttamente connesso alla distruzione dell’habitat della regione, ma anche alle persecuzioni scatenate dal regime iracheno che non esitò a bombardare i villaggi e avvelenarne le acque pur di liberarsi di popolazioni considerate ostili. 

figura 3 - Villaggio tradizionale delle paludi mesopotamiche

La caduta di Saddam Hussein nel 2003 ha inaugurato un periodo di forte instabilità per l’Iraq, ma ha permesso anche l’avvio di un difficile processo di ricostruzione che ha portato con sé speranza di rinascita e di sviluppo. All’interno di questo contesto, esponenti della comunità internazionale e della società irachena si sono impegnati in un ambizioso programma di recupero delle paludi che, pur tra mille difficoltà, ha iniziato a portare i suoi frutti. Le paludi mesopotamiche sono tornate a ricoprire parte dei territori sui quali esse si erano estese per migliaia di anni e lentamente si sta assistendo a una ripresa di specie giunte sull’orlo dell’estinzione, grazie anche alla creazione di un parco naturale protetto varato nel 2013. Anche la popolazione Madan ha ripreso a solcare le acque della ragione, seppure solo una frazione delle centinaia di migliaia di “arabi delle paludi” siano riusciti a tornare nei loro territori ancestrali. Molti di quelli che non hanno fatto ritorno risiedono in campi profughi o in baraccopoli in altre regioni irachene o in Iran.

 

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Palude mesopotamica

Palude mesopotamica

Villaggio di Saigal

Villaggio di Saigal

Villaggio tradizionale delle paludi mesopotamiche

Villaggio tradizionale delle paludi mesopotamiche

Il lento processo di rinascita delle paludi mesopotamiche ha iniziato a mostrare i suoi frutti e a ridar vita a un ecosistema e a un ambiente socio-culturale unico nel suo genere. La strada per il pieno recupero dell'area è però ancora lunga e tutt'altro che scontata. La popolazione Madan che abitava queste aree è solo un pallido riflesso della comunità che aveva imparato a vivere nelle paludi e a sfruttarne le risorse. Al tempo stesso, la flora e la fauna locali sono ben lungi dall'essersi ripresi dal durissimo colpo inferto loro da una catastrofe ambientale senza precedenti. Le minaccie alla sostenibilità del sistema palustre sono inoltre tutt'altro che scomparse. Tra esse si registrano anche le conseguenze legate alla realizzazione di una serie di dighe in Siria e Turchia che hanno ridotto significativamente la portata del Tigri e dell'Eufrate - i due corsi d'acqua che rappresentano la linfa vitale di un sistema unico al mondo