Il caso della cosiddetta “guerra dell’acqua” scoppiata a Cochabamba, in Bolivia, nel 2000 mette in luce tutte le contraddizioni rispetto alla questione della gestione delle acque, sia nella prospettiva internazionale che in quella interna ai singoli paesi, rilanciando il problema del riconoscimento di un diritto all’acqua, individuale e collettivo, e di come sia possibile garantire tale principio all’interno di una dimensione di mercato di tale risorsa. La rivolta scoppiò dopo che il governo boliviano decise di privatizzare integralmente il sistema idrico e i servizi igienico-sanitari di Cochabamba, la terza città del paese, vendendolo a un consorzio internazionale. In seguito a tale decisione, i prezzi di questa risorsa aumentarono del 200%. A ciò si aggiunse una nuova legislazione che determinò l’ulteriore erosione dei diritti della comunità locale nei confronti delle proprie risorse idriche, spingendo la popolazione di Cochabamba alla rivolta. L’acqua e l’accesso a questa risorsa in condizioni di scarsità non sono solo fattori di tensione inter-statale, ma anche di conflitti sociali e politici nei singoli paesi.
Terzo centro urbano della Bolivia, Cochabamba sorge nel cuore di un vasto altopiano ai piedi delle Ande, un territorio caratterizzato da ampie zone paludose da cui tra appunto il suo nome:
figura 1 - Mappa Bolivia
Kucha Pampa, terra paludosa, dalla lingua indigena quechua. Fondato nel 1500 per accogliere i lavoratori delle miniere d’argento di Potosi, in epoca contemporanea la città sperimentò un rapido tasso di crescita e sviluppo, per lo più avvenuto senza controllo. Le risorse idriche dell’area in breve tempo si dimostrarono insufficienti e la scarsità idrica divenne una problematica strutturale. A contribuire a tale situazione concorsero vari fattori.
Durante la metà del secolo scorso, la crisi dei siti minerari favori l’inurbamento di molti lavoratori a Cochabamba. Fu così che la città passò rapidamente dai 75,000 abitanti del 1950 ai 200,000 del 1976. La domanda di acqua registrò naturalmente un forte picco, a cui fu praticamente impossibile dare risposta dato che il sistema di fornitura idrica non venne adattato a questa nuova situazione. Inoltre, il fenomeno di crescita non fu governato e ciò portò alla nascita di numerosi aree informali, quasi del tutto prive di servizi.
figura 2 - Cochabamba
Da Semapa a Agua del Tunari
Prima di giungere alle rivolte del 2000, è utile richiamare alla mente quale fossero i problemi di Cochabamba rispetto alla dimensione dell’accesso e distribuzione dell’acqua. È nell’intreccio di inefficienze, corruzione e influenze esterne e che prese lentamente forma quella massa critica di insoddisfazione sociale che poi esplose nel momento della privatizzazione e dell’imposizioni delle leggi di mercato sulla vendita dell’acqua. I problemi iniziarono a manifestarsi intorno agli anni Sessanta del secolo scorso.
L’area urbana di Cochabamba iniziò ad espandersi rapidamente, senza una vera e propria programmazione. A questo si unì l’impossibilità finanziaria di sostenere progetti di sviluppo della rete. L’unica soluzione praticabile fu ricercare un aiuto dall’esterno. Di conseguenza, le autorità locali decisero di rivolgersi all’Inter-American Development Bank (Idb), con sede a Washington, per chiedere un finanziamento volto allo sviluppo dei servizi igienici e di distribuzione dell’acqua nella città. Il prestito fu concesso a patto che fosse creata una società pubblica incaricata della gestione dei nuovi servizi e della programmazione del suo sviluppo. Fu così che nacque il Servicio Municipal de Agua Potable y Alcantarillado (Semapa). Semapa venne creata con l’obiettivo di occuparsi della fornitura d’acqua nel centro abitato. Vennero perciò escluse le attività agricole e la gestione dell’irrigazione.
Nonostante a partire dagli anni Ottanta e poi Novanta Semapa abbia cercato di ampliare costantemente i suoi servizi, raggiungendo un numero crescente di abitanti, la crescita continua e incontrollata del centro abitato non permise mai una vera razionalizzazione del servizio. La distrbuzione rimase ineguale e forme sperequative accrebbero il solco tra i quartieri più ricchi e le periferie dimenticate. A partire dagli anni Novanta, la popolazione priva di accesso ai servizi idrici iniziò ad organizzarsi in “comitati indipendenti per l’acqua”. Questi erano associazioni volontarie che cercarono di dare risposta alla crescente domanda d’acqua. Ciononostante, di fronte al grave deficit, all’inefficienze del sistema e alla continua crescita del nucleo urbano, anche queste iniziative fallirono, come già in precedenza Semapa.
Tra gli anni Sessanta e Novanta, il deficit idrico di Cochabamba divenne strutturale. Nessuna iniziativa fu mai davvero in grado di risolvere la questione e anzi contribuì a innescare crescenti tensioni. Un situazione che in parte anticipò gli eventi del 2000. Semapa, infatti, cercò di reperire nuove fonti idriche promuovendo la realizzazione di numerosi pozzi nella campagna circostante l’abitato. Tali opere non riuscirono mai a fornire il quantitativo d’acqua necessario per una città in continua crescita e per di più destarono crescenti malumori da parte dei contadini. Ritenendo di essere depredati di una risorsa necessaria per la loro esistenza e per le attività agricole, iniziarono a ribellarsi con sempre maggior frequenza. Ne scaturì un vero e proprio scontro, che Semapa riuscì a risolvere stabilendo una sorta di sistema di indennizzo basato sul pagamento ai contadini per lo sfruttamento dei pozzi e accordi di condivisione dell’acqua tra questi e la città.
Di fronte alle crescenti difficoltà l’amministrazione di Cochabamba capì che era necessario promuovere la realizzazione di una grande opera idraulica così da poter realmente dare risposta alla domanda di acqua della città. Due furono i progetti presentati nei primi anni Novanta: una prima proposta prevedeva la creazione di una condotta che conducesse acqua dal vicino lago Corani. A questa idea, relativamente dispendiosa e certamente più pratica, venne contrapposta la proposta di creare un grande sbarramento (Misicuni) in corrispondenza dell’unione dei due fiumi che scorrono nell’altopiano. Questo avrebbe comportato la realizzazione di un lunghissimo tunnel per convogliare attraverso le montagne l’acqua così raccolta.
figura 3 - Lago Misicuni
Da questo momento prendono il via una serie si decisioni che portarono inesorabilmente agli scontri del 2000. Di fronte alla provata inefficienza di Semapa e ad altre iniziative di questa natura, si fece sempre più piede all’interno delle grandi organizzazioni internazionali erogatrici di credito ai paesi in via di sviluppo l’idea che fosse necessario percorre nuove vie. La proposta di principale fu quella di cedere i servizi di pompaggio e distribuzione delle acque a soggetti privati, escludendo il pubblico che, fino a quel momento, aveva dimostrato solo inefficienze e corruzione. Nel caso della Bolivia, tale posizione si manifestò nel 1998 quando a fronte di un prestito di 138 milioni di dollari, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) chiese espressamente di privatizzare i principali asset pubblici, tra cui Semapa. A ciò fece seguito nel 1999 l’invito da parte di Fmi e Banca Mondiale (Bm) di evitare il sovvenzionamento del settore idrico, lasciando che le tariffe oscillassero liberamente. Tale indicazione fu il preambolo alla cessione da parte del governo boliviano di Semapa a un consorzio privato multinazionale, di cui faceva parte anche Bechtel (una delle più grandi società per azioni a livello mondiale di infrastrutture), la Aguas del Tunari. Qualche mese successivo, il consorzio annunciò di aver ottenuto la concessione per la fornitura dei servizi idrici e igienico-sanitari di Cochabamba per 40 anni e che si sarebbe anche dedicata alla generazione di energia idroelettrica e al settore dell’irrigazione. Lo stesso mese, il parlamento boliviano passò la legge 2029, con cui determinò di fatto la privatizzazione dei servizi di acqua potabile e dello smaltimento di quello reflue. Tali provvedimenti di per sé non sarebbero bastati a generare le sollevazioni del 2000. A queste contribuirono in maniera definitiva gli effetti immediati di tali decisioni. Nonostante, Aguas del Tunari aveva garantito che l’aumento delle tariffe sarebbe stato contenuto entro il 35%, queste raggiunsero livelli insostenibili per la popolazione (si attesta che fossero aumentate del 200%). Ovviamente per una popolazione segnata dalla disoccupazione e con un salario minimo inferiore ai 100 dollari mensili, tali prezzi erano insostenibili andando a impattare sul 22-27% della media retribuzione mensile di un abitante di Cochabamba. Le proteste scoppiarono immediatamente. Nel 2000, di fronte alle esitazioni del governo, la popolazione diede vita alla Coalizione per la Difesa dell’Acqua e della Vita (La Coordinadora) sotto la guida di Oscar Oliveira. Il movimento di opposizione alle privatizzazioni si affermò definitivamente.
Lo scoppio della “Guerra dell’acqua”
Nel febbraio 2000 le proteste iniziarono con grande intensità. Nonostante il carattere pacifico di queste, la polizia reagì con durezza e la violenza si diffuse velocemente. Alla fine della prima fase di protesta, sul campo rimasero 175 feriti. Di fronte alle dichiarazione di Aguas del Tunari di aver intenzione di ridurre le tariffe la situazione sembrò inizialmente calmarsi. Ma nell’aprile le manifestazioni ripresero grazie alla spinta degli agricoltori. Le reazioni delle autorità furono nuovamente molto decise, proclamando lo stato di assedio e aumentando le misure coercitive. Vittima di queste misure fu un ragazzo di 17 anni, ucciso per un colpo di pistola alla testa.
figura 4 - Aprile 2000-Cochbamba
Cochabamba
Mappa Bolivia
Mappa Bolivia
Lago Misicuni
Fonte: Encarta
Aprile 2000-Cochbamba
Gli eventi di Cochabamba non si allineano ovviamente alle questioni più propriamente di geopolitica, o meglio di idropolitica. Ciononostante offrono un’interessante testimonianza di come le questioni dell’acqua, dell’accesso a questa risorsa e della sua distribuzione, possano divenire dei vettori rilevanti nella conflittualità interna ai sistemi politici contemporanei. Cochabamba dimostra la difficoltà di procedere per politiche teoriche imposte dall’esterno e dall’altro, in particolare quando si riferiscono a una risorsa vitale com’è l’acqua. Al tempo stesso il successo nell’imporre il principio che l’acqua sia un bene comune e non una semplice merce di scambio, non ha esaurito i problemi di Cochabamba. Il centro urbano ha continuato a crescere e, nonostante numerosi piani di sviluppo della rete idrica, è rimasta soggetta a deficit idrici. In questo senso, rimane tutt’ora aperta la questione di come conciliare questo principio con la necessaria razionalizzazione e valorizzazione di questa risorsa, in particolare in contesti segnati da scarsità idrica.
Achtenberg E., From Water Wars to Water Scarcity: Bolivia’s Cautionary Tale, nacla, 2013
Cochabamba timeline, Frontile World