L’agricoltura itinerante è una tecnica praticata dagli albori della civiltà agricola da popolazioni nomadi che consiste nella coltivazione di tratti disboscati di foresta ottenuti bruciando la vegetazione. I terreni diboscati sono utilizzati temporaneamente e poi lasciati alla ricolonizzazione della vegetazione naturale sino al ripristino di livelli di fertilità idonei ad una nuova coltivazione.
La tecnica è praticata nella fascia equatoriale e, nei contesti con ampi spazi a disposizione e con densità di popolazione molto contenuta e costante, ha garantito la conservazione dell’habitat originario e il soddisfacimento alimentare della popolazione.
La superficie interessata dall’agricoltura itinerante tradizionale è in via di riduzione ed è sostituita da un’azione più energica ed estesa di disboscamento per impiantare commodities agricole intensive, pascoli per il bestiame e colture per la sussistenza delle popolazioni locali in rapido incremento demografico. Ciò comporta alterazione del paesaggio, decadimento della fertilità, rottura di equilibri millenari con perdite di biodiversità e delle funzioni ambientali svolte dalle foreste tropicali.
L’agricoltura itinerante (“shifting cultivation”) è la forma più semplice di agricoltura praticata da popolazioni nomadi che si insediano in un territorio per poco tempo e consiste nel diboscare tratti di foresta, solitamente bruciando la vegetazione. I terreni diboscati, in genere, sono utilizzati temporaneamente (da due a cinque anni) (Figura 1)
figura 1 - Schematizzazione dell'agricoltura itinerante
L’agricoltura itinerante è anche definita “bush fallow”, “slash and burn” (taglia e brucia), swidden (“campo bruciato”), milpa (nell'America Centrale) e ladang (in Indonesia).
E’ una tecnica usata già nel Neolitico: i primi agricoltori sperimentarono che la terra coltivata dopo il primo raccolto negli anni successivi forniva una resa inferiore: poiché la terra era abbondante vi rimediarono seminando un altro appezzamento di terreno disboscando foreste. L’agricoltura itinerante anticipa in forma rudimentale la rotazione agricola.
In molte parti d'Europa e in Siberia il taglio e la bruciatura del bosco a rotazione per la coltivazione di rape, orzo, il lino, segale, frumento, avena, ravanelli e miglio erano ancora praticate alla fine del XIX secolo e in alcuni luoghi nel XX secolo (Svezia Estonia, Polonia, Serbia, Bosnia, Ungheria, Svizzera, Austria e Germania). Il disboscamento con il fuoco è attualmente usato da 200 - 500 milioni di persone in tutto il mondo (Cornell).
E’ una tecnica tipica dell'agricoltura familiare di sussistenza prevalente nell'Africa e nell'America intertropicali, nelle zone più remote dell'India e del Sudest asiatico, (Figura 2)
figura 2 - Distribuzione dell'agricoltura itinerante
In alcuni contesti l’agricoltura itinerante è praticata con il disboscamento senza la bruciatura dei residui vegetali, in altri i coltivatori sono puramente migratori e non utilizzano ciclicamente i terreni.
Tipicamente la sequenza delle operazioni, simile in tutti i continenti, prevede l’abbattimento all’inizio della stagione secca degli alberi in piccole porzioni di foresta (gli alberi che forniscono frutta, materiali da costruzione o di altri prodotti utili possono essere risparmiati). La vegetazione abbattuta (“slash”) è lasciata asciugare e poi bruciata per convertire la biomassa in cenere con potere fertilizzante. Con al bruciatura si eliminano temporaneamente la maggior parte dei patogeni e delle infestanti. Poco prima dell'inizio della stagione piovosa vengono seminate diverse colture in consociazione: semi e talee sono piantati direttamente nel terreno coperto di cenere. Dopo può essere aggiunto del materiale vegetale con funzione pacciamante che migliora la fertilità del suolo e lo protegge dall'erosione (in taluni casi si effettua la pacciamatura con piante che contengono insetticidi naturali) e dalle malerbe.
Con questo sistema vengono posti in coltivazione il mais (in America Latina), il miglio (in Africa), il riso (nel Sudest asiatico) e, nella zone equatoriali più piovose, varie tuberi amilacei commestibili quali igname (o yam, genere Dioscorea), manioca (o tapioca, cassava o yuca, Manihot esculenta), patata dolce (o batata, Ipomoea batata) e taro (Colocasia esculenta) oltre a banano e arachidi. Il ciclo di crescita di queste specie varia di 2-3 mesi fino a più di 24 mesi (vengono ripetuti più cicli di specie a ciclo breve). La consociazione viene realizzata in maniera disordinata anche per l’assenza di una chiara stagionalità climatica: ciò permette di limitare gli interventi per l'eliminazione delle erbe spontanee, consentendo alle specie di sfruttare al meglio la luce ed il terreno e limitando i danni da attacchi parassitari.
Nel giro di pochi anni la fertilità decade quindi le parcelle vengono abbandonate per spostarsi in aree vicine non ancora disboscate perché i suoli delle foreste pluviali sono particolarmente poco dotati di nutrienti e soggetti a infestazioni elevate di malerbe e patogeni, rispetto agli ambienti temperati. Se vengono rispettati i periodi tradizionali di coltivazione/abbandono la foresta secondaria avrà una rapida ricrescita grazie alle ceppaie rimaste nel terreno. Quando invece i periodi di riposo sono molto accorciati, la fertilità del suolo e la produttività declinano inesorabilmente (Figura 3)
figura 3 - Durata del periodo coltivazione - incolto e produttività
La coltivazione itinerante non comporta necessariamente la temporaneità degli insediamenti: i coltivatori possono risiedere in villaggi stabili, spesso posti a grandi distanze dagli appezzamenti coltivati (seminomadismo). Alcuni di questi gruppi stanziali praticano un tipo di agricoltura più elaborata in quanto sfruttano in modo più estensivo le risorse forestali e allevano capre, maiali e polli.
Secondo Watters si distinguono due tipi di agricoltura itinerante:
- “agricoltura itinerante tradizionale” praticata dalle popolazioni tribali con usi e religioni strettamente legate ai sistemi naturali che li circondano;
- “agricoltura itinerante imposta dalla necessità”: il coltivatore non è legato a una comunità tribale e di solito non possiede terra (o non abbastanza), per sostenersi con l'agricoltura stanziale. Pertanto taglia le foreste per coltivare iniziando spesso nuovi cicli di agricoltura itinerante.
I vantaggi dell’agricoltura itinerante
L'agricoltura itinerante “taglia e brucia” è importante nella fascia equatoriale e quando è applicata correttamente, può fornire cibo e redditi e ha dimostrato di essere sostenibile per lunghi periodi di tempo: in teoria l’abbattimento della foresta e la ricrescita sono in equilibrio e non arrecano alterazioni all'ecosistema nel suo complesso (seppure si conservi una preponderanza di specie vegetali coltivate) e i nutrienti del suolo tornano ai livelli pre-disturbo.
Nelle zone con trend demografici stabili e dove vi è sufficiente disponibilità di terra, l'agricoltura "slash and burn” si è dimostrata più sostenibile dell’agricoltura ad alta intensità energetica contribuendo significativamente al mantenimento della biodiversità. Essa crea infatti un mosaico di appezzamenti a differente grado di disturbo antropico con la presenza di alberi di molte specie (al contrario dell’agricoltura intensiva che prevede estese monocolture, prive di alberi).
Durante il periodo di non coltivazione (swiddens) i campi abbandonati possono essere utilizzati come fonte di frutta, fibre, piante medicinali e selvaggina. Prima di un nuovo utilizzo sono necessari da 5 a 20 anni.
I limiti dell’agricoltura itinerante
In molti contesti però la tecnica non è applicata correttamente e porta ad un intenso depauperamento del suolo che allunga i tempi di ripristino determinando il passaggio definitivo dell’uso del suolo da foresta a prateria (poiché la rigenerazione della foresta richiede periodi di tempo più lunghi). Il problema è accentuato quando la biomassa viene allontanata produrre legno o carbone. In casi estremi si può arrivare alla desertificazione per dilavamento del suolo (soprattutto nei terreni acclivi), non più trattenuto dalle radici nel corso delle piogge.
Il problema non è nella tecnica in sé, ma nel rapido aumento del numero di persone che tagliano e bruciano la foresta per produrre cibo per la sussistenza come accaduto nelle aree dei tropici con ingente afflusso di coloni (ad esempio stati di Acre e Rondonia in Brasile) dove la tecnica del “taglia e brucia” ha contribuito alla rapida perdita di copertura forestale. Inoltre i nuovi coloni mancano delle competenze necessarie per utilizzare con successo e in modo sostenibile l’agricoltura itinerante vedendosi costretti a vendere le loro terre per ricominciare su altri terreni forestali. Nel 2004 è stato stimato che, nel solo Brasile, 500.000 piccoli agricoltori hanno cancellato un media di un ettaro di foresta all’anno ciascuna. (Cornell).
Schematizzazione dell'agricoltura itinerante
(Fonte http://expeditieaarde.blogspot.it/2012/10/shifting-cultivation.html)
Distribuzione dell'agricoltura itinerante
(Fonte: http://revisionworld.com/gcse-revision/geography/agriculture/different-types-agricultural-activity)
Durata del periodo coltivazione - incolto e produttività
(Fonte: Guillemin, 1956, http://www.fao.org/Wairdocs/ILRI/x5545E/x5545e04.htm)
La coltivazione itinerante condotta in modo tradizionale e sostenibile sta perdendo di importanza e viene praticata sempre meno perché, dove vi è accesso a fiumi, coste o strade, viene soppiantata dalla coltivazione di prodotti commerciali: nel Sudest asiatico si coltivano alberi della gomma e palme da cocco, nel Pacifico meridionale palma da cocco e nell'Africa occidentale arachidi, cacao, caffè e palme da olio.
L’agricoltura itinerante non è in grado di fornire una soluzione alla rapida crescita della popolazione e alla rincorsa a migliori standard di vita di molti paesi tropicali. In questi territori occorrono soluzioni alternative che mirino a frenare il disboscamento scoraggiando il trasferimento in zone boschive, ad esempio migliorando la produttività dei terreni già coltivati per ridurre la povertà. Perché ciò accada sono necessari importanti cambiamenti nella politica e nell'economia nazionale e internazionale di non semplice attuazione anche perché nessun altro sistema di produzione alimentare alternativo ha dimostrato di essere biologicamente ed economicamente praticabile per molte aree equatoriali . E’ così probabile che in futuro si assista al continuo aumento dell’agricoltura “taglia e brucia” non tradizionale, a discapito delle foreste tropicali.
Per affrontare i problemi di squilibrio ecologico causato dalla rimozione della foresta, la soluzione più indicata pare essere il mantenimento della copertura del terreno in tutte le fasi del ciclo. Per la copertura del terreno nei periodi di coltivazione si può ricorrere a minima lavorazione, pacciamatura, colture miste e colture intercalari e, durante i periodi di incolto, al trapianto di alberi per favorire la ricolonizzazione (Christanty, 1986).
Christanty Linda, 1986. Shifting Cultivation and Tropical Soils: Patterns, Problems, and Possible Improvements. In: Gerald G. Marten,1986. Traditional Agriculture in Southeast Asia: A Human Ecology Perspective, Westview Press (Boulder, Colorado).
Clarke C.G, Dickenson J P, Gould W.T.S, Mather S., Mansell Prothero R., Siddle D.J, Smith C T, Thomas-Hope E., 2013 A Geography of the Third World Routledge.
Cornell J. D., 2011. Slash and burn Topic Editor:Michelle Miller
Jones E., 1991. Enciclopedia delle scienze sociali. Agricoltura. Treccani.
Jordan-Bychkov T. G., Domosh M.,. Neumann R. P,. Price P. L., 2006The Human Mosaic (10th, Tenth Edition) - By Jordan-Bychkov, Domosh, Neumann, & Price Paperback.
Watters R.F., 1971. Shifting Cultivation in Latin America. Rome: FAO.